Reati informatici

Come proteggersi dai reati infromatici nell'ottica dei giudici e di Paolo Galdieri, esperto in consulenza legale sulle minacce nel campo informatico. Tra giurisprudenza e strategie difensive, un'analisi approfondita su una sfida crescente per il sistema giudiziario.
reati informatici
Il reato

Che cosa sono i reati informatici

I reati informatici, anche conosciuti come cybercrimini o digital crime, sono atti illeciti commessi utilizzando computer, reti informatiche o dispositivi digitali. Questi reati possono variare notevolmente in termini di complessità e gravità e possono coinvolgere una vasta gamma di azioni, tra cui accesso non autorizzato a sistemi informatici, furto di dati, frode informatica, diffusione di malware, attacchi informatici, violazioni della privacy e molto altro.

Tipologie

I reati informatici coprono un’ampia gamma di tipologie che riflettono la crescente intersezione tra tecnologia e diritto. Ecco alcuni di quelli che specificatamente attengono all’uso illecito delle tecnologie dell’informazione:

  • Accesso abusivo a un sistema informatico o telematico:
    Riguarda l’accesso non autorizzato a un sistema informatico o telematico.
  • Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici:
    Si configura il reato quando vengono detenuti o diffusi illegalmente codici, parole chiave o altri mezzi per accedere a sistemi informatici o telematici.
  • Diffusione di programmi destinati a danneggiare o interrompere un sistema informatico:
    Si riferisce alla creazione e diffusione di malware, virus informatici o altri software dannosi.
  • Frode informatica:
    Si verifica quando una persona, manipolando il funzionamento di un sistema informatico, provoca un trasferimento ingiusto di denaro o un altro beneficio patrimoniale, a proprio vantaggio o di altri.
  • Falsificazione di strumenti informatici di pagamento:
    Questo reato include la creazione o l’utilizzo di carte di credito o di debito false o clonate.
  • Il danneggiamento informatico:
    Consiste nell’arrecare danni a sistemi informatici, dati e programmi attraverso varie forme di accesso non autorizzato, manipolazione o distruzione. Questo tipo di reato può avere conseguenze gravi, sia a livello finanziario che in termini di perdita di dati sensibili o compromissione della sicurezza informatica.

Articoli di riferimento

Articolo 392 c.p.

L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza su un bene informatico

Chiunque al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fà arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire un milione.

Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata, trasformata, o ne è mutata la destinazione.

Si ha, altresì, violenza sulle cose allorché un programma informatico viene alterato, modificato, cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 e 393 c.p.) avviene quando un individuo utilizza la violenza su beni materiali o individui per far valere presunti diritti, anziché risolvere la questione attraverso il Tribunale. La normativa distingue tra violenza su beni e violenza su persone, con il primo che riguarda danneggiamenti o trasformazioni di beni, e il secondo che coinvolge violenza o minacce su individui fisici.

Questi reati si differenziano da rapina ed estorsione per l’elemento soggettivo: nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’agente crede di avere un diritto valido, mentre nelle altre due si mira a ottenere un profitto ingiusto consapevolmente. La norma è stata estesa anche alle violenze sui beni  informatici  per prevenire attacchi mirati a far valere presunti diritti.

Il terzo comma dell’art. 392 c.p. punisce chi esercita violenza su beni informatici per far valere presunti diritti senza ricorrere al giudice, estendendo la nozione legale di violenza sulle cose alle alterazioni o impedimenti del funzionamento di sistemi informatici o telematici.

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Articolo 491-bis c.p.

Il falso informatico

Se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico avente efficacia probatoria, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti gli atti pubblici.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

Inizialmente, la falsificazione dei dati e dei programmi informatici sembrava non essere sanzionata penalmente, poiché era difficile equiparare il documento informatico al documento cartaceo protetto dalla legge. Tuttavia, con l’introduzione dell’art. 491-bis c.p. (legge 547/93), il documento informatico è stato equiparato a quello cartaceo, aprendo la strada alla possibilità di punire penalmente la falsificazione informatica.

La legge stabiliva che al documento informatico potessero applicarsi le norme a protezione del documento cartaceo, purché compatibili, e che il documento dovesse contenere dati o informazioni con efficacia probatoria.

Tuttavia, c’era un contrasto con altre definizioni di documento informatico presenti in leggi successive. Questo contrasto è stato superato con la modifica dell’art. 491-bis c.p., accogliendo la definizione di documento informatico contenuta nel Codice dell’amministrazione digitale.

Successivamente, con un decreto legislativo del 2016, si è stabilito che la disposizione si applica solo ai falsi riguardanti documenti informatici pubblici.

Nonostante l’art. 491-bis punisca diverse forme di falsificazione di documenti informatici, alcune situazioni non sono contemplate da questa normativa. Ad esempio, l’abuso della firma digitale può configurare altri reati come sostituzione di persona, furto o appropriazione indebita. Inoltre, l’uso abusivo della firma digitale può essere associato alla truffa, soprattutto se coinvolge la pubblica amministrazione.

Il delitto di falso può anche intersecarsi con altre forme di truffa contrattuale che coinvolgono la firma elettronica, come previsto da disposizioni successive.

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Articolo 493-ter c.p.

Indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti

Chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, o comunque ogni altro strumento di pagamento diverso dai contanti è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 euro a 1.550 euro.

Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera gli strumenti o i documenti di cui al primo periodo, ovvero possiede, cede o acquisisce tali strumenti o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi.

In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il delitto di cui al primo comma è ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché del profitto o del prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca di beni, somme di denaro e altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto.

Gli strumenti sequestrati ai fini della confisca di cui al secondo comma, nel corso delle operazioni di polizia giudiziaria, sono affidati dall’autorità giudiziaria agli organi di polizia che ne facciano richiesta.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

Il Decreto legislativo n. 21 del 1 marzo 2018 ha introdotto nell’articolo 493-ter del codice penale una disposizione volta a contrastare l’utilizzo fraudolento di carte di credito. Il reato è collocato tra i delitti contro la fede pubblica, mirando a proteggere la fiducia della collettività in simboli, atti giuridici o oggetti fondamentali per la certezza e sicurezza delle transazioni.

La norma punisce chi utilizza carte di credito non proprie per trarne profitto, così come chi le falsifica. Non è necessario il conseguimento effettivo di profitto, ma è richiesto il dolo specifico. Si prevede la confisca dei beni utilizzati per il reato e del profitto, con possibilità di attribuzione agli organi di polizia per contrastare la criminalità organizzata. Questa disposizione non abolisce la precedente normativa sulla frode informatica ma introduce una specifica fattispecie di reato.

La pena prevista è la reclusione da uno a cinque anni, consentendo l’arresto facoltativo in caso di flagranza. La condotta prevista presenta somiglianze con l’articolo 640-ter del codice penale, ma si differenzia su vari aspetti. La giurisprudenza ha distinto il reato di frode informatica dall’indebito utilizzo di carte di credito, ad esempio quando si accede abusivamente al sistema informatico bancario per ricaricare un telefono cellulare o per effettuare trasferimenti di fondi utilizzando carte falsificate e codici di accesso ottenuti in modo fraudolento.

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Articolo 495-bis c.p.

Falsa dichiarazione o attestazione al certificatore di firma elettronica sull’identità o su qualità personali proprie o di altri

Chiunque dichiara o attesta falsamente al soggetto che presta servizi di certificazione delle firme elettroniche l’identità o lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione fino a un anno.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

La Legge 18 marzo 2008, n. 48 ratifica ed esegue la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e apporta modifiche all’ordinamento interno attraverso l’art. 3, comma 2, che introduce nel codice penale l’art. 495-bis, riguardante la falsa dichiarazione o attestazione al certificatore di firma elettronica sull’identità o su qualità personali proprie o di altri.

Questa disposizione punisce chi fornisce informazioni false o dichiarazioni mendaci al certificatore di firme elettroniche riguardanti identità, stato o altre qualità personali. Si tratta di un reato plurioffensivo che mira a proteggere la fede pubblica e l’integrità della pubblica amministrazione.

Nella versione finale della normativa, il riferimento al “certificatore di firme elettroniche” è esplicito sia nella rubrica che nell’articolo, avvicinandosi alla definizione fornita dal Codice dell’Amministrazione Digitale (C.A.D.). Secondo il C.A.D., il certificatore è il soggetto che presta servizi di certificazione delle firme elettroniche o altri servizi connessi.

Nonostante esistano diverse tipologie di certificatore nell’ordinamento italiano, come il certificatore semplice, qualificato e accreditato, l’art. 495-bis non specifica il tipo di certificatore a cui si applica, quindi può essere interpretato come valido per qualsiasi tipo di certificatore.

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Articolo 615-ter c.p.

L’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico

Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni:

  1. se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, a da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;
  2. se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato;
  3. se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti.

Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino i sistemi informatici e telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.

Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d’ufficio.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

Il sistema informatico è parte integrante della nostra vita, assimilabile a una dimora personale. La legge prevede norme nel codice penale che lo tutelano, assimilandolo al domicilio. L’accesso abusivo a un sistema protetto è considerato reato, punendo sia chi vi entra senza autorizzazione che chi supera limiti temporali o modalità consentite. La legge mira a proteggere il “domicilio informatico”, non solo i dati al suo interno.

Le sanzioni sono più severe per chi usa violenza o danneggia il sistema o i dati  e nel caso si tratti di  sistemi di interesse pubblico. L’abuso della qualità di operatore di sistema è considerata aggravante, punendo coloro che, per competenza tecnica o per posizione, sono agevolati nella commissione del reato. Dubbi interpretativi vi sono sul significato da attribuire ai termini  “misure di sicurezza” e “sistema informatico o telematico”  ai fini dell’operatività della norma . La legge sembra ambigua nel bilanciare la tutela del domicilio informatico con la protezione di interessi pubblici.

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Articolo 615-quater c.p.

La detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici

Chiunque al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno,abusivamente si procura, riproduce, diffonde,comunica o consegna codici , parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso ad un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ,o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa sino a euro 5.164.

La pena è della reclusione da uno a due anni e della multa da euro 5.164 a euro 10.329 se ricorre taluna delle circostanze di cui ai numeri 1)e 2) del quarto comma dell’art.617-quater.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

Il legislatore interviene per sanzionare la detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso ai sistemi informatici o telematici, considerando tali codici come mezzi per accedere al sistema. La norma punisce chi acquisisce, riproduce, diffonde o comunica tali codici, così come coloro che divulghino informazioni riservate che possano facilitare l’accesso al sistema.

Sono sanzionati comportamenti come l’acquisizione di codici da individui che li detengono, la creazione di copie del codice, la divulgazione o comunicazione dei codici a terzi, e la consegna fisica dei codici. La disposizione prevede anche sanzioni per coloro che forniscono istruzioni su come ottenere tali codici.

Le sanzioni sono più severe se il reato danneggia sistemi informatici utilizzati dallo Stato, da enti pubblici o da imprese che forniscono servizi pubblici, o se il reato è commesso da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, sfruttando il loro ruolo per accedere al sistema. Queste aggravanti riflettono l’importanza dei sistemi pubblici e il vantaggio che hanno gli operatori del sistema nel commettere il reato.

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Articolo 615-quinquies c.p.

Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico.

Chiunque, allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento, abusivamente si procura, detiene, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette in altro modo a disposizione di altri o installa apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa sino a euro 10.329.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

La legge punisce la diffusione di programmi informatici dannosi, noti come virus informatici, con la reclusione fino a due anni e una multa fino a €10.329. Questi programmi danneggiano sistemi informatici, interrompendone il funzionamento o alterandone i dati. Il termine “malware” è usato per descrivere questi programmi, che possono essere diffusi attraverso hardware come smart card o pen drive USB, o attraverso software come i virus, i Trojan, i Worms, le Logic Bombs e gli Spyware.

I virus si replicano e diffondono copie di sé stessi, i Trojan sembrano innocui ma svolgono funzioni dannose, i Worms si propagano autonomamente attraverso reti, le Logic Bombs si attivano in un momento successivo alla loro installazione, mentre gli Spyware raccolgono informazioni sull’utente senza il suo consenso.

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Articolo 616 c.p.

La violazione della corrispondenza informatica.

Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prender cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516.

Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica o telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

La modifica del 1993 all’articolo 616 c.p. ha esteso la protezione della corrispondenza anche alle comunicazioni informatiche o telematiche. Il primo comma delinea il reato di accesso non autorizzato o sottrazione di comunicazioni, punendo chiunque prenda visione di una corrispondenza non diretta a lui senza autorizzazione.

Il secondo comma, considerato un reato autonomo, sanziona chi rivela il contenuto di una comunicazione appresa illegalmente, subordinando l’incriminazione all’assenza di giusta causa e al verificarsi di un nocumento.

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Articolo 617-quater c.p.

Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche

Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato la stessa pena si applica a chiunque rivela , mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni di cui al primo comma.

I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa. Tuttavia si procede di ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso:

1) in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità;

2) da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema;

3) da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

Gli articoli 617-quater, 617-quinquies e 617-sexies del Codice Penale costituiscono una barriera legale contro le pratiche dannose che minano la sicurezza delle comunicazioni informatiche e telematiche. Queste disposizioni mirano a proteggere la privacy e l’integrità delle comunicazioni digitali, vietando l’intercettazione fraudolenta e la divulgazione non autorizzata dei loro contenuti.

L’art. 617-quater, inserito nel contesto dei delitti contro la persona e la libertà individuale, si occupa principalmente dell’intercettazione fraudolenta delle comunicazioni. Questo avviene quando un individuo ottiene, interrompe o ostacola comunicazioni relative a sistemi informatici o telematici in modo occulto e senza autorizzazione. La norma copre anche la divulgazione non autorizzata dei contenuti delle comunicazioni informatiche o telematiche al pubblico.

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Articolo 617-quinquies c.p.

Detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e di altri mezzi atti a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche

Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dall’art.617-quater, quarto comma.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

L’articolo 617-quinquies del Codice Penale punisce l’installazione di dispositivi per intercettare o impedire comunicazioni informatiche, configurando un reato di pericolo. Questo articolo mira a colpire la preparazione e l’organizzazione per commettere reati informatici, anche prima che l’intercettazione avvenga effettivamente. La pena va da uno a quattro anni di reclusione, ma può salire a cinque anni se il sistema danneggiato è dello Stato o se il reato è commesso da un pubblico ufficiale o da un investigatore privato abusivo.

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Articolo 617-sexies c.p.

Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche.

Chiunque al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno, forma falsamente ovvero altera o sopprime, in tutto o in parte, il contenuto anche occasionalmente intercettato, di taluna delle comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’articolo 617-quater.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

L’articolo 617-sexies protegge l’integrità delle comunicazioni a distanza, vietando la falsificazione dei loro contenuti. Questo include la manipolazione o l’invenzione di comunicazioni informatiche per ottenere un vantaggio personale o arrecare danni. Se commesso in danno di sistemi informatici dello Stato o da pubblici ufficiali abusivi, la pena può essere più severa. Il reato richiede sia la volontà generica di alterare le comunicazioni sia un intento specifico di trarne beneficio o danneggiare altri.

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Articolo 635-bis c.p.

Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora, cancella, altera o sopprime informazioni, dati o programmi informatici altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.

Articolo 635-ter c.p.

Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette un fatto diretto a distruggere, deteriorare, cancellare, alterare o sopprimere informazioni, dati o programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o ad essi pertinenti, o comunque di pubblica utilità, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Se dal fatto deriva la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la soppressione delle informazioni, dei dati o dei programmi informatici, la pena è della reclusione da tre a otto anni. Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.

Articolo 635-quater c.p.

Danneggiamento di sistemi informatici o telematici.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, mediante le condotte di cui all’articolo 635-bis, ovvero attraverso l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi, distrugge, danneggia, rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui o ne ostacola gravemente il funzionamento è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.

Articolo 635-quinquies c.p.

Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità.

Se il fatto di cui all’articolo 635 quater è diretto a distruggere, danneggiare, rendere, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici di pubblica utilità o ad ostacolarne gravemente il funzionamento, la pena è della reclusione da uno a quattro anni. Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema informatico o telematico di pubblica utilità ovvero se questo è reso, in tutto o in parte, inservibile, la pena è della reclusione da tre a otto anni. Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

L’articolo 635-bis c.p. , insieme agli articoli successivi 635-ter, 635-quater e 635-quinquies, punisce il danneggiamento dei sistemi informatici e delle relative informazioni. La legge n.48 del 2008 ha ampliato e specializzato tali norme, distinguendo tra danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici e danneggiamento di sistemi informatici o telematici, inclusi quelli di pubblica utilità.

Oltre alla distruzione e al deterioramento, sono considerate condotte punibili anche la cancellazione, l’alterazione e la soppressione di dati. Questi reati sono perseguibili su querela della persona offesa, tranne quando commessi con violenza o minaccia o da operatori di sistema, in cui sono procedibili d’ufficio. Gli articoli successivi ampliano la protezione, contemplando danneggiamenti di sistemi di pubblica utilità e aggiungendo aggravanti per danneggiamenti di informazioni o sistemi dello Stato o di enti pubblici.

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Articolo 640-ter c.p.

Frode informatica.

Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro se ricorre una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell’articolo 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema.

La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o taluna delle circostanze previste dall’articolo 61, primo comma, numero 5, limitatamente all’aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all’età, e numero 7.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

L’articolo 640-ter c.p., inserito nel Titolo XIII sui delitti contro il patrimonio, affronta la questione della frode informatica. Questa forma di reato rappresenta una truffa perpetrata attraverso il computer, ma si differenzia dalla truffa comune poiché il profitto illecito non deriva dall’inganno diretto della vittima, bensì dall’inganno rivolto al computer stesso. In passato, il problema della qualificazione giuridica della frode informatica ha generato diverse interpretazioni.

Alcune teorie la considerano come un reato con la cooperazione artificiosa della macchina, altre come un delitto con la cooperazione parziale della vittima. Tuttavia, la visione più accettata è quella che identifica la frode informatica come un atto di aggressione al patrimonio sfruttando il rapporto di fiducia che lega l’utente al proprio strumento di lavoro, ovvero il computer.

Due esempi di frode informatica sono il dialer e il phishing. Il dialer modifica i parametri di connessione del computer e lo collega a numeri a tariffa elevata, mentre il phishing inganna gli utenti inducendoli a fornire informazioni riservate tramite messaggi di posta elettronica contraffatti. La frode informatica può essere contrastata mediante l’informazione chiara sugli eventuali rischi e attraverso misure di sicurezza informatica.

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Articolo 640-quinquies c.p.

Frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica.

Il soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica, il quale, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di arrecare ad altri danno, viola gli obblighi previsti dalla legge per il rilascio di un certificato qualificato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 51 a 1.032 euro.

Il commento di: Avv. Paolo Galdieri

Il reato di frode informatica relativo ai servizi di certificazione di firma elettronica, disciplinato dall’articolo 640-quinquies del codice penale, punisce chi fornisce tali servizi e viola gli obblighi previsti per il rilascio di un certificato qualificato, al fine di ottenere un profitto ingiusto o causare danno ad altri. A differenza della truffa comune, qui viene sanzionato solo il fornitore di servizi di certificazione e solo se si prova l’effettivo danno arrecato. Questo reato è motivato dalla diffusione dei sistemi di firma elettronica, e il certificatore, considerato pubblico ufficiale, commette il reato abusando della sua qualifica. Non essendo una truffa tradizionale, ma una violazione degli obblighi imposti dalla legge, questo reato è autonomo e richiede un dolo specifico da parte del colpevole.

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Cosa dicono i giudici

In riferimento all’Articolo 392 c.p.
La giurisprudenza, al momento, sostiene che:
  1. Per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è necessario che il diritto che si afferma sia effettivamente valido. Ciò che conta è il modo in cui tale diritto è fatto valere, indipendentemente dalla sua effettiva esistenza.
  2. Anche chi non è il legittimo titolare del diritto può essere considerato soggetto attivo del reato, purché si comporti come se lo fosse e ne eserciti le facoltà tipiche.
  3. È essenziale che il soggetto agente agisca direttamente per far valere il presunto diritto, danneggiando il bene-interesse dello Stato che mira ad impedire che la violenza privata sostituisca l’esercizio della funzione giurisdizionale.
  4. Non è necessario che il diritto arbitrariamente esercitato sia oggetto di una disputa giudiziaria in corso; la presenza di una controversia di fatto è sufficiente per configurare il reato.
  5. Affinché si configuri il reato, è necessario che vi sia un danneggiamento, una trasformazione o un cambiamento nella destinazione del bene che renda difficile il ripristino.
  6. Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si distingue dalla violenza privata per l’intenzione dell’agente: quest’ultimo deve avere l’intenzione di far valere un diritto, anche se non necessariamente fondato, mentre nella violenza privata si richiede l’intenzione di commettere violenza o minaccia alla persona.
In riferimento all’Articolo 491-bis c.p.
Il registro informatico dell’Università, utilizzato per registrare i dati relativi alla carriera degli studenti, è considerato un documento pubblico con efficacia probatoria.
È configurabile il reato di falsità materiale in atto pubblico anche nel caso di modelli di pagamento F24 falsificati, anche se la transazione avviene esclusivamente online.
Quando le azioni di formazione di un atto pubblico e di attestazione sono parte di una procedura informatica, il falso materiale e ideologico sono strettamente interconnessi.
È considerato reato il fatto del pubblico ufficiale che altera i dati informatici relativi alla posizione contributiva.
L’articolo 491-bis del codice penale non è una norma innovativa, ma si applica alle disposizioni esistenti in materia di falsità documentali anche prima della sua introduzione.
Le azioni di inserimento di dati non veritieri negli archivi informatici delle pubbliche amministrazioni possono costituire reati di falsità in atti pubblici.
Anche l’archivio informatico di una P.A. è considerato un registro tenuto da un soggetto pubblico, e le azioni di inserimento di dati falsi in esso possono configurare reati di falsità documentali.
In riferimento all’Articolo  493-ter c.p.
La giurisprudenza, al momento, dice che:
  • L’utilizzo indebito di una carta di credito, senza mai ottenere il possesso fisico della stessa, costituisce il reato di indebita utilizzazione di carta di credito, non appropriazione indebita.
  • Il delitto di indebita utilizzazione di carta di credito assorbe il reato di sostituzione di cui all’art. 494 codice penale poiché entrambi comportano lesioni al patrimonio e alla pubblica fede.
  • La scriminante del consenso dell’avente diritto non si applica al reato di indebita utilizzazione di carta di credito poiché questo viola non solo il patrimonio, ma anche la sicurezza delle transazioni commerciali, un interesse collettivo indisponibile.
  • Il reato di indebita utilizzazione di carte di credito si applica anche in assenza di ulteriori operazioni, come il riciclaggio.
  • L’abrogazione dell’articolo 55 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, non costituisce abolizione del reato di indebita utilizzazione di carte di credito.
  • L’esimente prevista per i fatti commessi in danno di congiunti non si applica al reato di indebita utilizzazione di carta di credito, poiché la natura plurioffensiva del reato coinvolge anche interessi pubblici.
  • Risponde dei reati di ricettazione e di indebita utilizzazione di carte di credito chi riceve carte contraffatte da altri e le utilizza.
  • L’azione di accesso fraudolento al sistema informatico di una banca per effettuare operazioni illecite costituisce il reato di frode informatica, non quello di indebito utilizzo di carte di credito.
In riferimento all’Articolo 495–bis c.p. 
La giurisprudenza, al momento, dice che:
La richiesta di un privato per ottenere il rilascio della firma digitale è disciplinata dal Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e rientra nell’ambito normativo dell’articolo 483 del codice penale. Questa attività è considerata diretta alla Pubblica Amministrazione per ottenere la firma digitale, e quindi è assimilabile alla richiesta di un certificato o autorizzazione amministrativa.
In riferimento all’Articolo 615-ter c.p. 
La giurisprudenza afferma che per configurare il reato di accesso abusivo a un sistema informatico è essenziale considerare la titolarità dello spazio di archiviazione e la finalità degli accessi. Il parallelo tra domicilio informatico e reale è imperfetto, ma entrambi sono protetti da possibili intrusioni. Il reato si configura con la violazione del domicilio informatico, senza necessità di lesione effettiva della riservatezza.
La giurisprudenza definisce il “sistema informatico” come un insieme di apparecchiature che utilizzano tecnologie informatiche per registrare, memorizzare e elaborare dati tramite impulsi elettronici. Questo include carte di pagamento, telefonia digitale, televisione satellitare e caselle di posta elettronica. Coloro che accedono e leggono il contenuto di una casella di posta elettronica possono essere considerati responsabili di accesso abusivo e violazione di corrispondenza.
La protezione offerta dalla legge include anche sistemi client-server, in cui un terminale si connette a un elaboratore centrale per condividere risorse o informazioni.
La giurisprudenza interpreta le “misure di sicurezza” nell’accesso ai sistemi informatici o telematici in modo ampio, includendo sia protezioni interne che esterne, come chiavi d’accesso e custodia degli impianti. Anche i meccanismi di selezione dei soggetti abilitati possono essere considerati misure di sicurezza. Queste possono essere anche di carattere organizzativo, disciplinando modalità di accesso e indicando persone autorizzate.

Il reato è integrato anche laddove l’accesso avvenga a un sistema protetto da un dispositivo costituito anche soltanto da una parola chiave. Tuttavia, alcune decisioni richiedono che l’agente neutralizzi le misure di sicurezza per essere perseguibile penalmente, non rilevando l’uso successivo di dati legittimamente posseduti. L’accesso indebito alla casella di posta elettronica di un collega per acquisire dati per la difesa in giudizio non è considerato legittimo e viola la sfera di riservatezza delle controparti processuali.

La giurisprudenza presenta diverse interpretazioni sulla permanenza oltre i limiti consentiti in un sistema protetto:
  1. Se il soggetto ha titolo per accedere al sistema, il reato potrebbe non configurarsi, anche se si avvale di tale accesso per scopi diversi da quelli autorizzati.
  2. Tuttavia, il reato può sussistere se il soggetto, pur avendo titolo, viola le prescrizioni impartite per limitare l’accesso.
  3. Le Sezioni Unite hanno chiarito che il reato è integrato anche se un pubblico ufficiale accede per motivi estranei alle finalità autorizzate.
  4. È richiesto un dolo generico per l’integrazione del reato.
  5. La giurisprudenza chiarisce le aggravanti nel reato di accesso abusivo ad un sistema informatico:
  6. La sostituzione delle credenziali della mail contro la volontà dell’avente diritto costituisce un’aggravante.
  7. Commettere il reato danneggiando un sistema di interesse pubblico, come nel caso dell’accesso con le credenziali PostePay di una persona offesa, è considerato un’aggravante.
  8. L’accesso abusivo da parte di un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri costituisce una circostanza aggravante.
  9. Anche quando il sistema appartiene a un soggetto privato qualificato come cessionario di pubblico servizio, l’aggravante per interesse pubblico è configurabile.
  10. L’abuso della qualità di operatore del sistema non è un’ipotesi autonoma di reato, ma una circostanza aggravante delle condotte illecite.
  11. Tale aggravante non si applica al semplice utente abilitato, ma a chi svolge una funzione all’interno del sistema, che faciliti la commissione del reato.
La giurisprudenza ha affrontato il tema del luogo del commesso reato e della competenza del giudice in materia di accesso abusivo:
  • Inizialmente, si è sostenuto che la competenza territoriale dovrebbe essere individuata nel luogo in cui è collocato il server oggetto dell’attacco informatico.
  • Tuttavia, successivamente le Sezioni Unite hanno cambiato questa interpretazione, stabilendo che il reato si consuma nel momento in cui il soggetto agente si collega al sistema informatico. Di conseguenza, la competenza territoriale spetta al Tribunale del luogo in cui il soggetto si è connesso alla rete effettuando il collegamento abusivo.
In riferimento all’Articolo 615-quater c.p. 
La giurisprudenza stabilisce che il reato di cui all’art. 615-quater c.p. non può concorrere con quello più grave di cui all’art. 615-ter c.p., poiché costituisce un antecedente necessario e deve essere integrato nello stesso contesto spazio-temporale e in danno della stessa persona offesa. La norma è stata oggetto di diversi chiarimenti giurisprudenziali.
Ad esempio, è stato precisato che il possesso di un decodificatore di segnali satellitari e schede per la ricezione degli stessi non configura il reato, poiché non si viola un domicilio informatico protetto, ma si utilizzano irregolarmente servizi di trasmissione o comunicazione ad accesso condizionato.
Tuttavia, rientra nella norma il procurarsi abusivamente il numero seriale di un cellulare di un altro soggetto per realizzare una connessione illecita alla rete di telefonia mobile. In tal caso, l’acquisto consapevole di un telefono predisposto per l’accesso mediante codici clonati integra il reato di ricettazione. È stato anche chiarito che la ricarica di un cellulare usando codici di carte di credito sottratte costituisce il reato di uso illecito di carte di credito, non quello di cui all’art. 615-quater c.p.
In riferimento all’Articolo 615-quinquies c.p. 
La giurisprudenza stabilisce che per configurare il reato di diffusione di programmi informatici finalizzati all’alterazione di un sistema informatico, è sufficiente la volontà dell’agente di diffondere il programma con consapevolezza dei suoi effetti, senza necessariamente mirare alla distruzione o al danneggiamento del sistema.
Si considera l’alterazione di un programma quando questo viene manipolato per compiere azioni non volute dall’utente o quando vengono modificati i parametri di funzionamento contro la volontà dell’utilizzatore.
Inoltre, è possibile il concorso di reato con l’accesso abusivo, basandosi sull’elemento soggettivo e sul fatto che il dolo del secondo reato derivi dal dolo del primo.
In riferimento all’Articolo 616 c.p. 
La giurisprudenza, al momento, dice che l’introduzione abusiva nell’archivio di posta elettronica può configurare diversi reati, tra cui violazione di corrispondenza, accesso abusivo ad un sistema informatico e danneggiamento dello stesso. Tuttavia, se si tratta solo di accesso alla casella di posta elettronica altrui, si configura solo il reato di accesso abusivo.
Leggere la corrispondenza telematica tra ex conviventi conservata nell’archivio di posta elettronica integra il reato di violazione e soppressione di corrispondenza, non quello previsto dall’art. 617 del codice penale.
Sottrarre corrispondenza bancaria inviata al coniuge per utilizzarla in un giudizio civile di separazione costituisce il reato di violazione di corrispondenza, senza giusta causa.
Il datore di lavoro può leggere la posta aziendale del dipendente se c’è una policy aziendale adeguata e se il dipendente è stato informato.
L’accesso alla corrispondenza elettronica protetta da password dipende dalla legittimazione all’uso del sistema informatico. Se il sistema è protetto da una password e l’accesso è legittimo, la corrispondenza in esso custodita è lecitamente disponibile.
In riferimento all’Articolo 617-quater c.p. 
La giurisprudenza, al momento, dice che per configurare il reato di interruzione di comunicazioni informatiche non è necessario l’uso di mezzi fraudolenti, ma può essere commesso con qualsiasi mezzo diretto o indiretto. Tuttavia, il reato di installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche è assorbito dal reato di intercettazione illecita di comunicazioni informatiche.
Per integrare il reato di intercettazione illecita di comunicazioni informatiche, è sufficiente l’uso di mezzi per eludere i meccanismi di sicurezza preordinati. Inoltre, è configurabile il tentativo di intercettazione fraudolenta mediante apparecchi skimmer nei terminali ATM.
La divulgazione del contenuto delle comunicazioni al pubblico, anche senza intercettazione fraudolenta, costituisce reato. Anche l’uso di una carta di credito contraffatta tramite un terminale POS può configurare il reato di intercettazione illecita di comunicazioni informatiche.
In riferimento all’Articolo 617-quinquies c.p. 
La giurisprudenza, al momento, dice che l’aggravante prevista per l’installazione di dispositivi skimmer presso gli sportelli “bancomat” si configura quando l’attività viene compiuta a danno di un soggetto che esercita un servizio di pubblica necessità, come le banche.
Si tratta di un reato di pericolo concreto, dove è rilevante l’idoneità dell’apparecchiatura installata a intercettare dati, anche senza la necessità che tali operazioni siano effettivamente eseguite.
L’installazione di dispositivi atti ad intercettare comunicazioni informatiche, come scanner o fotocamere, costituisce il reato previsto dall’art. 617-quinquies del codice penale, anche senza la raccolta effettiva dei dati.
Articolo  617-sexies c.p.
La giurisprudenza, al momento, dice che:
  • Modificare una stampa di una pagina Facebook senza alterare il messaggio pubblicato costituisce solo diffamazione.
  • Falsificare la notifica di lettura di un’email per una procedura concorsuale è considerato reato.
  • Il reato di falsificazione informatica si verifica anche quando un soggetto crea e inserisce un messaggio nel sistema informatico celando la propria identità.
  • Il reato può essere contestato insieme al reato di accesso abusivo informatico nel caso di phishing, ovvero l’illecita intrusione su sistemi informatici per truffare utenti di servizi bancari online.
In riferimento agli Articoli 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies  c.p. 
La giurisprudenza, al momento, dice che:
  • Il reato di danneggiamento informatico di cui all’art. 635 bis c.p. è configurato quando un dirigente formatta il computer aziendale prima di restituirlo alla società per la quale lavorava.
  • Anche la cancellazione dei dati che non esclude la possibilità di recupero integra gli estremi del reato di danneggiamento informatico.
In riferimento all’Articolo 640–ter c.p. 
La giurisprudenza , al momento, dice che:
  1. La messa in vendita di un bene su un sito internet, seguita dalla mancata consegna al compratore al fine di ottenere un profitto ingiusto, costituisce truffa ai sensi dell’art. 640 c.p.
  2. Per il reato di frode informatica è necessario dimostrare che la persona che riceve l’accredito sulla propria Post Pay sia la stessa che ha inviato il link per il pagamento.
  3. L’aggravante di minorata difesa non si applica quando le parti hanno avuto contatti diretti, come messaggi personali o conversazioni telefoniche.
  4. Il riciclaggio può configurarsi anche senza il concorso nel delitto presupposto, se si mette a disposizione un conto corrente per ostacolare l’accertamento dell’origine illecita delle somme.
  5. Il reato di frode informatica si differenzia dalla truffa per le condotte fraudolente specifiche e perché coinvolge il sistema informatico anziché un soggetto passivo.
  6. L’uso fraudolento di una carta di credito e l’accesso abusivo a un sistema informatico possono costituire concorso di reati con la frode informatica.
  7. La frode informatica si consuma nel momento in cui si interviene sui dati del sistema informatico, anche senza alterarne il funzionamento.
  8. Il reato di frode informatica può concorrere con il danneggiamento di dati informatici, ma si differenzia perché non richiede il danneggiamento del sistema.
  9. La frode informatica postula la manipolazione del sistema, mentre l’accesso abusivo a un sistema protetto non è richiesto per la frode informatica.
  10. Nel caso di phishing possono ravvisarsi anche altri reati come l’utilizzo indebito di carte di credito, la sostituzione di persona, la truffa, il trattamento illecito dei dati personali o l’accesso abusivo.
In relazione all’individuazione del luogo del commesso reato La giurisprudenza stabilisce che:
  • Nelle truffe contrattuali attraverso vendite online, il reato si consuma nel luogo in cui l’agente ottiene il profitto ingiusto, non dove viene dato l’ordine di pagamento.
  • Questo principio si basa sul fatto che la truffa è un reato istantaneo che si perfeziona quando l’agente ottiene il vantaggio e la vittima subisce la perdita.
  • Lo stesso principio si applica quando la truffa avviene tramite bonifico bancario, competente è il tribunale del luogo in cui la somma è stata riscossa, o le regole suppletive di competenza.

Come tutelarsi

Nel contesto sociale ed economico moderno, la necessità di tutelarsi diventa sempre più pressante, che si tratti di proteggere la propria privacy, i propri diritti o i propri beni. Proteggersi dai reati informatici richiede un approccio proattivo che combina misure di sicurezza informatica, consapevolezza e comportamenti prudenti. Ecco alcune strategie chiave e consigli pratici per garantire una protezione efficace:

  1. Utilizzo di software di sicurezza: Installare e mantenere aggiornati antivirus, firewall e altri software di sicurezza per proteggere i dispositivi da malware e intrusioni.
  2. Aggiornamenti regolari: Mantenere aggiornati i sistemi operativi, i programmi e le applicazioni per sfruttare le ultime patch di sicurezza.
  3. Gestione delle password: Utilizzare password complesse e uniche per ogni account, e considerare l’uso di un gestore di password. Cambiare le password regolarmente.
  4. Autenticazione a più fattori (MFA): Dove disponibile, attivare l’autenticazione a più fattori per un ulteriore livello di sicurezza.
  5. Prudenza nel click e nella condivisione di informazioni: Essere cauti nel cliccare su link sospetti o nel scaricare allegati da e-mail non verificate. Inoltre, essere consapevoli di quali informazioni personali si condividono online.
  6. Sicurezza della rete domestica e dell’ufficio: Proteggere la rete Wi-Fi con una password forte e considerare l’uso di una VPN (Virtual Private Network) per una maggiore sicurezza.
  7. Backup dei dati: Eseguire regolarmente backup dei dati importanti su dispositivi esterni o servizi cloud sicuri per prevenire la perdita di dati in caso di attacco informatico.
  8. Educazione e consapevolezza: Restare informati sulle ultime minacce informatiche e partecipare a corsi di formazione sulla sicurezza informatica, se disponibili.
  9. Monitoraggio dell’attività finanziaria: Controllare regolarmente i propri conti bancari e le carte di credito per rilevare eventuali attività sospette.
  10. Piani di risposta agli incidenti: Avere un piano in caso di violazione della sicurezza informatica, che includa i passaggi da seguire e chi contattare.
  11. Consultare esperti di sicurezza: Per le aziende, è importante lavorare con consulenti o team di sicurezza informatica per valutare e rafforzare le proprie difese contro i crimini informatici.
  12. Conoscenza delle leggi: Essere consapevoli delle leggi relative ai reati informatici e sapere quali passi intraprendere in caso di un’eventuale violazione.

Consulenza legale Reati informatici

La consulenza legale in materia di reati informatici, sia dal lato della vittima che dell’autore del reato, è un settore complesso e in continua evoluzione.

Dalla parte della vittima:

  • Analisi della situazione: Questo potrebbe includere la raccolta di prove digitali, come email, registri di accesso, screenshot o altri dati rilevanti.
  • Identificazione dei danni: Aiutare la vittima a identificare i danni subiti a causa del reato informatico, che potrebbero includere furto di dati personali, danni finanziari o danni alla reputazione.
  • Valutazione delle opzioni legali: Questo potrebbe includere la presentazione di denunce presso le autorità competenti, l’avvio di azioni legali civili per il recupero dei danni o la partecipazione a indagini penali.
  • Assistenza durante le indagini e nel corso del processo: Questo potrebbe includere la rappresentanza  della vittima come parte civile in giudizio e la eventuale negoziazione di accordi con le parti coinvolte.
  • Prevenzione: Pareri su misure preventive per ridurre il rischio di futuri reati informatici, come l’implementazione di misure di sicurezza informatica più robuste o la formazione del personale.

Dalla parte del presunto autore del reato:

  • Rappresentanza legale: Rappresentanza del presunto autore del reato, con pareri su come rispondere alle accuse.
  • Valutazione delle prove: Analisi delle prove a disposizione dell’autore del reato e valutazione delle opzioni disponibili per la difesa, che potrebbe includere la contestazione delle prove raccolte o la negoziazione con la parte lesa.
  • Rappresentanza in giudizio.
  • Assistenza post-condanna: Gestione delle conseguenze legali e pianificazione di eventuali appelli o azioni legali successive.

Formazione

L’avvocato Paolo Galdieri, specializzato in consulenza legale nel settore dell’informatica, ha sviluppato corsi di formazione all’avanguardia nell’ambito dei reati informatici. Questi corsi sono progettati non solo per fornire un solido background giuridico, ma anche per offrire competenze tecniche specifiche, consentendo ai partecipanti di affrontare con sicurezza le sfide poste da tali reati.

La formazione è unica nel suo genere poiché viene adattata alla realtà specifica in cui viene impartita. Questo approccio personalizzato garantisce che i contenuti siano direttamente applicabili e immediatamente efficaci nell’ambiente di lavoro dei partecipanti. Gli argomenti trattati spaziano dalla sicurezza informatica alla legislazione vigente, assicurando una copertura completa delle tematiche più rilevanti.

I corsi rappresentano un investimento strategico per le aziende che vogliono tutelarsi efficacemente dai rischi legali e tecnologici legati ai reati informatici.

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Paolo Galdieri

Avvocato penalista, Paolo Galdieri è esperto nella gestione di controversie in materia di Reati informatici.

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